Sara, poco più che ventenne è aggredita dall’ex fidanzato, viene data alle fiamme e lasciata a morire in un campo. Accade a Roma, in copia a migliaia di casi in altrettante località più o meno note del civilizzato, moderno, esemplare mondo occidentale. Corre l’anno 2016, certo non l’alto medioevo.
Il reo confesso, non contento, dà alle fiamme l’auto della ragazza, fugge e viene infine arrestato dalle forze dell’ordine. La cronaca, terribile, purtroppo la conosciamo. Col passare delle ore trapelano dettagli inquietanti: parrebbe, e non è certo dettaglio da poco, che un paio di automobilisti rintracciati poi dagli inquirenti abbiano sì, incrociato l’auto in fiamme e, pare, abbiano visto qualcuno chiedere aiuto, forse urlare, forse litigare, non è chiaro. Sono le tre di notte, zona Magliana fuori raccordo, non proprio un orario e una zona garanzie di serenità per l’uomo comune.
Ignorano ciò che vedono, tirano dritti. Non alzano neppure il cellulare per chiamare il 113. Sbagliano? A non fermarsi, non saprei dire, a non chiamare la polizia, certamente sì. Stamattina se ne parla anche in radio. Ascolto Emilio Pappagallo di Radio Rock esprimere cordoglio per quanto successo e muovere chiare critiche nei confronti di questi automobilisti insensibili. Tra me e me, concordo con lui, poi entro in un bar per far colazione e leggo, su internet, questo articolo, “Sara brucia e Roma si scopre vigliacca“. Ci rifletto tutto il giorno, la cosa non mi va giù neanche un po’ – il che ci porta a questo mio intervento, non richiesto, certamente inutile, il quale comunque non mi posso trattenere dallo scrivere.
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non è un poesia ma una cacio e pepe
li vedi entrare come bambini, hanno sorrisi sinceri a trentadue denti, sono turisti affamati e cercano l’esperienza italiana, quella del piatti caldi, fumanti, pieni di sapore, che racconteranno a parenti ed amici una volta tornati in patria. “you can just barely imagine”, diranno.
si siedono, così felici che nel piccolo ristorante quattro-pallini-su-tripadvisor ci sia posto. fremono, non vedono l’ora di ordinare, e quella di alzarsi pagare e andarsene è remota tanto quanto quella della loro futura dipartita. per quel che li riguarda, potrebbero anche morire subito dopo il pasto. un buon compromesso: andarsene sì, ma a pancia piena e con gran stile.
arriva il cameriere che gli parla serratamente in italiano, anzi in romanesco, ma loro capiscono comunque, o forse no, alla fine non fa gran differenza. qualunque cosa ti serviranno andrà bene, più che bene. scrutano famelici le portate che passano nei corridoi, destinati ad altri tavoli, indicano, commentano, rumoreggiano e brindano a vino rosso, finché non arriva il loro piatto, allora tacciono i dialetti della perfida Albione e vi si tuffano, si sporcano, gonfiano le gote, deglutiscono, godono. saranno forse poco eleganti, certo, ma davanti alla loro prima cacio e pepe tutto è permesso.
tu, seduto in un angolo, sei ormai al dessert e li osservi ancora per qualche istante, prima di alzarti per saldare il conto e andartene. lascerai pagato un amaro a quel tavolo di pallidi inglesi che hai squadrato con candida ironia sin dal loro ingresso, sfottendoli mentalmente ma invidiandogli l’emozione della scoperta, della novità.
ma sì, che godano il momento, i sapori, l’esperienza italiana, questa magnifica città inzuppata di questo sole primaverile in anticipo sui tempi.
mica possono farlo tutti i giorni, poveri diavoli.
buona curiosità
va cominciando una nuova battaglia, in culo a quella che si va concludendo.ogni anno è così. perché un anno solare questo è: una piccola battaglia personale, familiare, lavorativa e sociale che combatti quotidianamente, ciclicamente, da sempre, senza che nessuno ti abbia chiesto se ti andasse o meno a genio. che ti piaccia o no, alla fine sei coinvolto e cerchi, scalciando e sgambettando, di dire la tua malgrado le regole del gioco (forse sarebbe meglio dire “d’ingaggio”) siano sempre più confuse e contorte, malgrado le nitide certezze del passato col tempo si trasformino in pallide incertezze senza tra l’altro la consolazione del non poter concludere con un “e viceversa”. Continua la lettura di buona curiosità